[Gfoss] quando mappare e' illegale

Non e' cosi' scontato, nel mondo, che mettere su un sito di mapping sia
consentito. In Cina ad es. non lo e':
http://geospatialworld.net/index.php?option=com_content&view=article&id=22116%3Aillegal-mapping-hotline-yet-to-take-off&catid=47%3Aproduct-surveying-mapping&Itemid=1
Saluti.
--
Paolo Cavallini: http://www.faunalia.it/pc

Il 02 maggio 2011 17:05, Paolo Cavallini <cavallini@faunalia.it> ha scritto:

Non e' cosi' scontato, nel mondo, che mettere su un sito di mapping sia
consentito. In Cina ad es. non lo e':
http://geospatialworld.net/index.php?option=com_content&view=article&id=22116%3Aillegal-mapping-hotline-yet-to-take-off&catid=47%3Aproduct-surveying-mapping&Itemid=1

:smiley: Io rischierei di essere messo in gattabuia con tutti gli strumenti
per mappare che ho e che mi porterei in Cina

Saluti.
--
Paolo Cavallini: http://www.faunalia.it/pc

--
ciao
Luca

http://gis.cri.fmach.it/delucchi/
www.lucadelu.org

Il 05/02/2011 05:05 PM, Paolo Cavallini ha scritto:

Non e' cosi' scontato, nel mondo, che mettere su un sito di mapping sia
consentito.

In realtà ho scoperto che anche in Italia ci sono diverse categorie di dati geografici di cui e' illegale la pubblicazione.
Mi riferisco a:
- segreto militare
- flora e fauna protetta
- dati di privacy

... poi ... rimango sempre perplesso ...
Aggiungo inoltre che mi e' stato riportato, e non ho fatto un controllo in merito.

non c’e’ da fare nessun controllo in merito, e’ semplice buon senso:

banalmente, lo shapefile delle localizzazioni dei nidi dell’aquila prodotto dal servizio scentifico di un ente parco non solo non e’ “pubblico”, ma non esce neanche dalla stanza del responsabile del servizio, e quando entra qualche funzionario della stanza affianco, spengono lo schermo, nel caso lo stiano guardando. figurati se vogliono “pubblicarlo” su internet!
lo so perche’ l’ho visto fare, è così e ritengo che sia giusto che sia così.
e questo è solo un esempio, chissà quanti altri casi del genere esistono.

l’ambito della geografia è troppo vasto per poter semplificare in questo modo:
un dato geografico e’ qualcosa di visibile, di tangibile, di rilevabile, ergo automaticamente “pubblico”.

francesco

Il giorno 02 maggio 2011 17:25, Maurizio Napolitano <napo@fbk.eu> ha scritto:

Il 05/02/2011 05:05 PM, Paolo Cavallini ha scritto:

Non e’ cosi’ scontato, nel mondo, che mettere su un sito di mapping sia
consentito.

In realtà ho scoperto che anche in Italia ci sono diverse categorie di dati geografici di cui e’ illegale la pubblicazione.
Mi riferisco a:

  • segreto militare
  • flora e fauna protetta
  • dati di privacy

… poi … rimango sempre perplesso …
Aggiungo inoltre che mi e’ stato riportato, e non ho fatto un controllo in merito.


Iscriviti all’associazione GFOSS.it: http://www.gfoss.it/drupal/iscrizione
Gfoss@lists.gfoss.it
http://lists.gfoss.it/cgi-bin/mailman/listinfo/gfoss
Questa e’ una lista di discussione pubblica aperta a tutti.
Non inviate messaggi commerciali.
I messaggi di questa lista non rispecchiano necessariamente
le posizioni dell’Associazione GFOSS.it.
502 iscritti all’11.2.2011

On Mon, 2 May 2011 18:43:02 +0200, francesco marucci wrote

non c’e’ da fare nessun controllo in merito, e’ semplice buon senso:

banalmente, lo shapefile delle localizzazioni dei nidi dell’aquila prodotto
dal servizio scentifico di un ente parco non solo non e’ “pubblico”, ma non
esce neanche dalla stanza del responsabile del servizio, e quando entra
qualche funzionario della stanza affianco, spengono lo schermo, nel
caso lo stiano guardando. figurati se vogliono “pubblicarlo” su internet!

ovvio che non può essere altrimenti che così.
rendere di pubblico dominio le zone di riproduzione di una specie a
rischio di estinzione equivale a condannarla a morte certa.
da sempre i vari WWF, Legambiente etc adottano una specie di
“codice d’onore” che vincola a mantenere il massimo riserbo su
queste informazioni così tanto critiche e delicate.

e credo che esattamente lo stesso valga per necropoli ed altri siti
archeologici rilevati ma non ancora scavati etc etc

ma non c’è nessuna contraddizione con il concetto di Open Data:
qualsiasi definizione che ho visto garantisce comunque la
tutela della riservatezza per le informazioni “sensibili”:
privacy in primis, ma anche sicurezza militare, industriale,
ambientale etc

ciao Sandro

in realtà per i beni archeologici è diverso (almeno in Puglia)
noi abbiamo la carta dei beni culturali (realizzata nell’ambito del piano paesaggistico PPTR)
(su base del PUTT)
che ha realizzato poligoni dei beni culturali noti
(quindi anche dei siti archeologici) sia studiati e classificati
e sia ancora non studiati (basati su segnalazioni pubblicate).

I dati sono scaricabili e messi a disposizione dal SIT della Regione
anche perchè questi dati servono per la redazione degli studi d’incidenza
che sono pane quotidiano in virtù del fotovoltaico e eolico…

saluti
Maurizio Marrese
FG

Maurizio Marrese

via Donato Menichella 7

71122 FOGGIA

mobile: 3382252119
fax: 0881 313002

2011/5/2 <a.furieri@lqt.it>

On Mon, 2 May 2011 18:43:02 +0200, francesco marucci wrote

non c’e’ da fare nessun controllo in merito, e’ semplice buon senso:

banalmente, lo shapefile delle localizzazioni dei nidi dell’aquila prodotto
dal servizio scentifico di un ente parco non solo non e’ “pubblico”, ma non
esce neanche dalla stanza del responsabile del servizio, e quando entra
qualche funzionario della stanza affianco, spengono lo schermo, nel
caso lo stiano guardando. figurati se vogliono “pubblicarlo” su internet!

ovvio che non può essere altrimenti che così.
rendere di pubblico dominio le zone di riproduzione di una specie a
rischio di estinzione equivale a condannarla a morte certa.
da sempre i vari WWF, Legambiente etc adottano una specie di
“codice d’onore” che vincola a mantenere il massimo riserbo su
queste informazioni così tanto critiche e delicate.

e credo che esattamente lo stesso valga per necropoli ed altri siti
archeologici rilevati ma non ancora scavati etc etc

ma non c’è nessuna contraddizione con il concetto di Open Data:
qualsiasi definizione che ho visto garantisce comunque la
tutela della riservatezza per le informazioni “sensibili”:
privacy in primis, ma anche sicurezza militare, industriale,
ambientale etc

ciao Sandro


Iscriviti all’associazione GFOSS.it: http://www.gfoss.it/drupal/iscrizione
Gfoss@lists.gfoss.it
http://lists.gfoss.it/cgi-bin/mailman/listinfo/gfoss
Questa e’ una lista di discussione pubblica aperta a tutti.
Non inviate messaggi commerciali.
I messaggi di questa lista non rispecchiano necessariamente
le posizioni dell’Associazione GFOSS.it.
502 iscritti all’11.2.2011

Buongiorno

Il giorno 02 maggio 2011 18:43, francesco marucci <francesco.marucci@gmail.com> ha scritto:

non c’e’ da fare nessun controllo in merito, e’ semplice buon senso:

banalmente, lo shapefile delle localizzazioni dei nidi dell’aquila prodotto dal servizio scentifico di un ente parco non solo non e’ “pubblico”, ma non esce neanche dalla stanza del responsabile del servizio, e quando entra qualche funzionario della stanza affianco, spengono lo schermo, nel caso lo stiano guardando. figurati se vogliono “pubblicarlo” su internet!
lo so perche’ l’ho visto fare, è così e ritengo che sia giusto che sia così.
e questo è solo un esempio, chissà quanti altri casi del genere esistono.

Il comportamento che descrivi è una ‘prassi ritenuta opportuna’ oppure c’è un norma di legge ben precisa (una legge statale, regionale, oppure un regolamento del parco)?

Se c’è una norma potresti citarla per cortesia?

grazie, ciao

Paolo C.

2011/5/3 Maurizio Marrese <maurizio.marrese@gmail.com>

in realtà per i beni archeologici è diverso (almeno in Puglia)
noi abbiamo la carta dei beni culturali (realizzata nell’ambito del piano paesaggistico PPTR)
(su base del PUTT)
che ha realizzato poligoni dei beni culturali noti
(quindi anche dei siti archeologici) sia studiati e classificati
e sia ancora non studiati (basati su segnalazioni pubblicate).

Molto bene.

I dati sono scaricabili e messi a disposizione dal SIT della Regione
anche perchè questi dati servono per la redazione degli studi d’incidenza
che sono pane quotidiano in virtù del fotovoltaico e eolico…

Come al solito una nazione, mille soluzioni.

In Emilia Romagna è altamente osteggiata una carta archeologica su GIS reso pubblico, in quanto sarebbe pane quotidiano dei tombaroli (ahahah che notoriamente arrivano prima degli archeologi…).

Quello che Maurizio dice per la Puglia dovrebbe essere: c’è la carta della potenzialità archeologica chi deve fare un intervento passa per la Soprintendenza che sovrappone carta e intervento edile. In questo modo hai tutela senza dare indicazione specifica per eventuali manomissioni.

In questo caso si ha uno strato di dati che dovrebbe rimanere “celato” in mano ai professionisti del settore, dall’altro un livello aperto a tutti che faccia tutela.
Quindi, per un unico tema, “l’archeologia”, si avrebbero tipologie differenti di dato con trattamenti differenti.

Una riflessione personale - dato pubblico e pubblica sensibilizzazione: per dati delicati come il sito archeologico scavato e non, più si diffonde la posizione a livello pubblico, più il pubblico ne è consapevole. Ergo, molta più gente potrebbe fare studi e ricerche, pubblicare e aumentare l’interesse e la tutela. Se io vedo di notte qualcuno in un campo che scava, passo dritto. Se so che lì c’è una villa romana non scavata, denuncio il crimine. Ma io sono archeologo, e faccio poco testo…

Ciao

luca

On Tue, May 03, 2011 at 09:44:55AM +0200, Luca Mandolesi wrote:

Una riflessione personale - dato pubblico e pubblica sensibilizzazione: per
dati delicati come il sito archeologico scavato e non, più si diffonde la
posizione a livello pubblico, più il pubblico ne è consapevole. Ergo, molta
più gente potrebbe fare studi e ricerche, pubblicare e aumentare l'interesse
e la tutela. Se io vedo di notte qualcuno in un campo che scava, passo
dritto. Se so che lì c'è una villa romana non scavata, denuncio il crimine.
Ma io sono archeologo, e faccio poco testo....

A pelle ho la stessa impressione.
Tenere "protetto" un dato non mi convince affatto della sua effettiva
"protezione". Protetto da cosa ? Da chi ? E chi garantisce che gli
"amici del protettore" non siano tombaroli ?

Al solito: chi controlla il controllore ?

--strk;

  () Free GIS & Flash consultant/developer
  /\ http://strk.keybit.net/services.html

mi stai chiedendo se c’e’ una legge che punisce eventuale diffusione di dati sensibili ? o che tutela chi non vuole diffondere tali dati ? o che obbliga alcuni funzionari a non diffondere alcuni dati ?
in ogni modo sinceramente non saprei, bisognerebbe chiedere a chi ne sa di leggi.

io volevo solo dire che ci sono casi in cui i produttori dei dati (anche nella pubblica amministrazione) non hanno giustamente nessuna intenzione che i propri dati vengano distribuiti.
e che l’equazione “dato geografico” = “dato pubblico” non e’ sempre vera.

saluti,
francesco

Il giorno 03 maggio 2011 08:33, Paolo Craveri <pcraveri@gmail.com> ha scritto:

Buongiorno

Il comportamento che descrivi è una ‘prassi ritenuta opportuna’ oppure c’è un norma di legge ben precisa (una legge statale, regionale, oppure un regolamento del parco)?

Se c’è una norma potresti citarla per cortesia?

grazie, ciao

Paolo C.

Il giorno mar, 03/05/2011 alle 09.44 +0200, Luca Mandolesi ha scritto:

Una riflessione personale - dato pubblico e pubblica
sensibilizzazione: per dati delicati come il sito archeologico scavato
e non, più si diffonde la posizione a livello pubblico, più il
pubblico ne è consapevole.

Luca,
una ulteriore nota che spero non risulti troppo specialistica:
utilizzando questo genere di problematiche (io stesso non ho soluzioni
pronte da vendere, e purtroppo in Italia la migliore tutela è ancora
quella di lasciare i siti dove sono senza scavarli) spesso viene
secretato o fortemente limitato l'accesso a TUTTI i dati archeologici,
come gli inventari dei magazzini, la documentazione degli scavi e così
via.

Ora, secondo me il problema è duplice: la richiesta di "open data"
archeologici ha sicuramente una forte radice in quel sottoinsieme di
archeologi (e non solo, come dimostra l'esperienza pugliese) che
lavorano con strumenti e piattaforme GIS, e quindi necessariamente è a
questa categoria di dati che più di frequente si fa riferimento.

Tuttavia, è palese che questi sono i dati più delicati detenuti dalle
Soprintendenze, e l'esperienza insegna che sarebbe invece molto più
proficuo iniziare da dati "semplici" che non incorrono in alcun rischio
di mancata tutela: penso per esempio ai dati degli scavi preventivi, che
per loro stessa natura non possono comportare alcun danno visto che i
manufatti e strutture registrati sono comunque stati asportati o
distrutti. Qui avremmo a che fare con una molteplicità di dati,
stratigrafici, sui reperti, etc.. di sicuro interesse (e sarebbero anche
questi geospaziali in una certa misura).

Insomma, il discorso è lungo e secondo me non ci sono soluzioni rapide.
Va creata una cultura, ancora prima di ottenere un CD o un archivio sul
web. A Napoli il 9 e 10 giugno si parla anche di questo
http://www.archeo.unina.it/archeofoss/

Ciao
steko

--
Stefano Costa
http://www.iosa.it/ Open Archaeology

Il giorno lun, 02/05/2011 alle 17.25 +0200, Maurizio Napolitano ha
scritto:

In realtà ho scoperto che anche in Italia ci sono diverse categorie di
dati geografici di cui e' illegale la pubblicazione.

Leggermente OT,
ma visto che di recente abbiamo discusso anche di foto aeree, volevo
segnalare che la Regione Liguria vieta il sorvolo a bassa quota di
velivoli a motore nelle aree protette (artt. 33 e 42 L.R. 12/1995 [1]).

Non so se ci sono disposizioni analoghe in altre regioni, ma penso sia
comunque importante per far capire che, dal punto di vista delle
amministrazioni, il territorio non è tutto uguale e quindi le
restrizioni sui dati geografici siano la diretta conseguenza di questa
situazione differenziata.

Forse stando davanti a un monitor è meno facile da capire (non lo dico
con intento polemico, sto facendo prima di tutto auto-critica).

Ciao
steko

[1] http://leggi.regione.liguria.it/leggi/docs/19950012.htm

--
Stefano Costa
http://www.iosa.it/ Open Archaeology

On Tue, 3 May 2011 10:44:21 +0200, francesco marucci wrote

mi stai chiedendo se c’e’ una legge che punisce eventuale diffusione di dati sensibili ?
o che tutela chi non vuole diffondere tali dati ? o che obbliga alcuni funzionari a non diffondere alcuni dati ?
in ogni modo sinceramente non saprei, bisognerebbe chiedere a chi ne sa di leggi.

io volevo solo dire che ci sono casi in cui i produttori dei dati (anche nella pubblica amministrazione)
non hanno giustamente nessuna intenzione che i propri dati vengano distribuiti.
e che l’equazione “dato geografico” = “dato pubblico” non e’ sempre vera.

posso portarvi un esempio concreto e tangibile:

circa una decina di anni fa, il comune di arezzo decise di
mettere in opera un’azione di contenimento dei piccioni
e degli storni nel centro storico.

sentito il parere delle varie ass.ni ambientaliste, venne
deciso di adottare la lotta biologica, e quindi vennero
acquistate (a caro prezzo) circa una decina di coppie
di falchi pellegrini.

i pellegrini si ambientarono discretamente bene, ed
iniziarono a nidificare in città: già i primi effetti sulla
popolazione di piccioni iniziavano a mostrarsi positivi.

purtroppo la notizia dei “pellegrini in città” divenne
di dominio pubblico (qualcuno chiacchierò un po’
troppo, ed un po’ troppo a vanvera …)

conclusione: nel giro di poche settimane tutti
i nidi vennero distrutti dai residenti (sono pericolosi,
sono cattivi, portano le malattie, aggrediscono i
bambini etc etc).

e tutti gli adulti, tranne un paio che riuscirono
fortunatamente a scappare in appennino, sono
finiti impagliati a far bella mostra di se su qualche
scaffale di “volenterosi” collezionisti-tassidermisti.

morale: non sempre divulgare pubblicamente
tutte le informazioni in modo indiscriminato
è utile ed opportuno :slight_smile:

ciao Sandro

On Tue, 2011-05-03 at 11:18 +0200, a.furieri@lqt.it wrote:

circa una decina di anni fa, il comune di arezzo decise di
mettere in opera un'azione di contenimento dei piccioni
e degli storni nel centro storico.

sentito il parere delle varie ass.ni ambientaliste, venne
deciso di adottare la lotta biologica, e quindi vennero
acquistate (a caro prezzo) circa una decina di coppie
di falchi pellegrini.

[..]

purtroppo la notizia dei "pellegrini in città" divenne
di dominio pubblico (qualcuno chiacchierò un po'
troppo, ed un po' troppo a vanvera ...)

conclusione: nel giro di poche settimane tutti
i nidi vennero distrutti dai residenti (sono pericolosi,
sono cattivi, portano le malattie, aggrediscono i
bambini etc etc).

[...]

morale: non sempre divulgare pubblicamente
*tutte* le informazioni in modo indiscriminato
è utile ed opportuno :slight_smile:

Ciao a tutti,

riguardo questo caso, non credo che si possa ridurre l'insuccesso del
progetto alle "voci di corridoio che non dovevano diventare pubbliche".

Secondo me una campagna di informazione sulla loro presenza e utilità
avrebbe aiutato a farli accettare dalla popolazione. Tenendo invece
tutto segreto, la popolazione favorevole o neutra non ha saputo niente,
quella contraria ha ben pensato di distruggere i nidi, contando sul
fatto che gli operatori del progetto (gli unici a conoscenza) non
potevano presidiarli continuamente.

Ancora più importante: prima ancora di portare in città i falchi, è
stato chiesto alla popolazione cosa ne pensasse? Se la maggioranza fosse
stata contraria, i falchi sarebbero stati cercati ed eliminati comunque,
anche se nessun dato fosse stato pubblicato dal Comune.
Inoltre, in caso di pareri favorevoli, si poteva creare un senso di
responsabilità verso i falchi, per rendere più efficace la loro difesa
dai vandali - proprio come la conoscenza dei siti archeologici
permetterebbe a più persone di smascherare eventuali tombaroli.

Senza dubbio, bisogna valutare caso per caso se divulgare i dati sia più
utile o più controproducente.

my 2c,
Anne

Inoltre, in caso di pareri favorevoli, si poteva creare un senso di
responsabilità verso i falchi, per rendere più efficace la loro difesa
dai vandali - proprio come la conoscenza dei siti archeologici
permetterebbe a più persone di smascherare eventuali tombaroli.

  • 1: noi archeologi non eravamo mai stati citati tanto!

2011/5/3 Luca Mandolesi <mandoluca@gmail.com>

proprio come la conoscenza dei siti archeologici
permetterebbe a più persone di smascherare eventuali tombaroli

Tempo fa ho comprato un metal detector (usato una sola volta in verità) e ho frequentato un paio di forum dove una delle preoccupazioni degli appassionati era conoscere dove sono le aree archeologiche per evitarle e non finire in galera.
La legge infatti vieta la ricerca di reperti in aree archeologiche, ma se un cercatore della domenica (che in genere si accontenta di qualche monetina del regn)o non può sapere dove vige questo divieto è quasi sempre a rischio, anche se ottiene il consenso dal proprietario del fondo (che ovviamente non è avvisato se la sua terra rientra nella carta archeologica)

amefad

Il giorno mar, 03/05/2011 alle 13.25 +0200, Amedeo Fadini ha scritto:

La legge infatti vieta la ricerca di reperti in aree archeologiche, ma
se un cercatore della domenica (che in genere si accontenta di qualche
monetina del regn)o non può sapere dove vige questo divieto è quasi
sempre a rischio, anche se ottiene il consenso dal proprietario del
fondo (che ovviamente non è avvisato se la sua terra rientra nella
carta archeologica)

Stiamo andando piuttosto OT, comunque per dovere di archeologo vorrei
precisare che la legge non vieta la ricerca di reperti in aree
archeologiche, ma fa molto di più:

Articolo 88
                        Attivita' di ricerca

   1. Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il
ritrovamento delle cose indicate all'articolo 10 in qualunque parte
del territorio nazionale sono riservate al Ministero.

(DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2004 , n. 42 Codice dei beni culturali
e del paesaggio)

Quindi l'area su cui è vietata la ricerca è semplicemente corrispondente
all'intero territorio nazionale (incluse acque territoriali). Negli
articoli successivi si regolano le scoperte fortuite.

Poi in pratica le cose funzionano un po' (o molto) diversamente, ma la
legge è questa.

Ciao
steko che non è un avvocato ma oggi cita leggi in continuazione

--
Stefano Costa
http://www.iosa.it/ Open Archaeology

On 03/05/2011 14:43, Stefano Costa wrote:

Il giorno mar, 03/05/2011 alle 13.25 +0200, Amedeo Fadini ha scritto:
  

La legge infatti vieta la ricerca di reperti in aree archeologiche, ma
se un cercatore della domenica (che in genere si accontenta di qualche
monetina del regn)o non può sapere dove vige questo divieto è quasi
sempre a rischio, anche se ottiene il consenso dal proprietario del
fondo (che ovviamente non è avvisato se la sua terra rientra nella
carta archeologica)
    

Stiamo andando piuttosto OT, comunque per dovere di archeologo vorrei
precisare che la legge non vieta la ricerca di reperti in aree
archeologiche, ma fa molto di più:

Articolo 88
                        Attivita' di ricerca

   1. Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il
ritrovamento delle cose indicate all'articolo 10 in qualunque parte
del territorio nazionale sono riservate al Ministero.
    

(DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2004 , n. 42 Codice dei beni culturali
e del paesaggio)

Quindi l'area su cui è vietata la ricerca è semplicemente corrispondente
all'intero territorio nazionale (incluse acque territoriali). Negli
articoli successivi si regolano le scoperte fortuite.

Poi in pratica le cose funzionano un po' (o molto) diversamente, ma la
legge è questa.

Ciao
steko che non è un avvocato ma oggi cita leggi in continuazione

Grazie Stefano per la precisazione, stavo cercando anche io la legge in
merito, per mettere chiarezza.
Un altro punto che secondo me merita un po' più di chiarezza è il
problema del diniego alla divulgazione per motivi di tutela. Come hai
detto tu Stefano si deve fare innanzitutto una distinzione tra i dati su
depositi a rischio e non a rischio, che a volte vengono messi nello
stesso calderone. Va tenuto poi conto che i funzionari preposti alla
tutela dei beni archeologici hanno delle responsabilità non da poco
(anche giustamente) su eventuali danni arrecati a depositi archeologici
su cui hanno la soprintendenza, quindi è anche comprensibile che
preferiscano non divulgare i dati, piuttosto che rischiare denunce per
manomissioni imputabili a loro azioni.
Direi però che stiamo andando OT e che non avendo leggi e norme sotto
mano rischio pure di inabissarmi in imprecisioni se continuo con questo
discorso, che ha molte più sfaccettature di quelle che abbiamo fino ad
ora eviscerato.
Sicuramente Napoli sarà un ottima occasione per parlare di ciò.

Saluti

P.